venerdì, aprile 21, 2006

ED E' SUBITO SIRIA...




“La prima volta che sono andato in Siria, nel 2003, è stato un po’ per caso. Poi mi sono affezionato e soprattutto l’ho ritenuta molto valida per studiare l’arabo, perciò sono tornato di nuovo l’anno scorso.” In barba alle paure e ai pregiudizi che spesso esistono nei confronti dei paesi arabi, Salvatore De Simone, laureato in Scienze Politiche all’“Orientale” di Napoli, ha deciso di esportarsi per un po’ sull’altra sponda del Mediterraneo, anche per vedere quanto effettivamente abbiamo in comune. “In effetti non hai la sensazione di esserti spostato di troppo, soprattutto per la mentalità, i modi di fare. Il problema è che ci conosciamo poco e allora sembra che siano delle realtà aliene, quando invece non è così, anzi...” Salvatore pensa alla sua esperienza in prospettiva, per poterla trasferire qui: “Fino a poco tempo fa erano pochissimi i salentini che conoscevano l’arabo. Ora, grazie all’Università di Lecce e grazie a chi è andato a studiare fuori, stiamo accumulando un bagaglio di conoscenze, un patrimonio umano di competenze che è elemento essenziale per impostare un dialogo produttivo e pertinente con gli arabi e i musulmani presenti qui da noi e quelli con cui potremmo relazionarci vista la nostra posizione geografica.” Ma per ora è un po’ pessimista: “Ancora le nostre competenze non trovano molto spazio nel panorama professionale e nelle richieste delle istituzioni a livello locale, e questo ci induce spesso ad andarcene di nuovo...”
E lì invece? Come sei stato accolto? “Devo dire che l’approccio con le autorità siriane è un po’ ostico, c’è molta (comprensibile) diffidenza, stanno sempre sul chi va là e questo sia per motivi interni - sappiamo che c’è un regime autoritario, che esercita un controllo capillare - sia per motivi esterni, perché il paese è sottoposto a pressioni di ogni tipo e da più fronti (USA, Israele, Libano, Iraq, estremismo islamico, solo per menzionarne alcuni) e c’è il fondato timore di infiltrazioni pericolose e minacce alla stabilità. Per chi si trattiene in Siria per periodi lunghi, come me, possono esserci controlli informali, ma di prassi, da parte dei mukhabaràt, i servizi segreti, ma niente di cui aver paura, state tranquilli!!”
Tutto il contrario però nella vita di tutti i giorni: “La gente” dice “è curiosa e socievole, non hai problemi ed è molto facile trovare degli amici veri. Certo, la mia esperienza è limitata, ma tra i ragazzi che ho conosciuto a Damasco ho riscontrato una grande forza nel fare e nell’imparare, entusiasmo anche per le piccole cose, grande attenzione ai valori umani. Tuttavia si avverte anche una sorta di inquietudine, di stanchezza per le limitazioni che ci sono nella sfera sociale e politica, per le difficili condizioni occupazionali: si sente che in molti ne soffrono. Anche se non sono tante, le grosse iniziative culturali e di svago non se le fanno scappare! Mentre ero lì si è tenuto il Festival Internazionale del Cinema e uno di jazz, che hanno avuto un grande successo di pubblico.” Poi continua sulla vita notturna: “a dire la verità è abbastanza sobria, ma c’è un pullulare di risto-cafè, principale luogo di ritrovo dove si può ascoltare musica dal vivo. E poi le strade, il giovedì e il venerdì sera strabordano di gente! Anzi, invitiamo tutti i lettori di ESF a fare una capatina?!”

Paola Alem



IL LAVORO C'E'. IN CINA


Basta dire che la Cina è una minaccia, per qualcuno la Cina è un’opportunità un Paese da scoprire, dove è più facile trovare lavoro che qui nel Salento. Tra queste persone c’è un leccese che vive a Pechino e che, strano ma vero, è andato lì per trovare l’America. Si chiama Oscar Chirizzi, 26 anni, laureato in Lingue orientali alla Sapienza di Roma e ora fa il consulente e l’interprete per le aziende italiane che vogliono investire nel mercato cinese. Inserirsi, racconta, è molto facile per chi conosce la lingua: “Lì – dice – lo straniero è trattato meglio del cinese, non esistono problemi all’ingresso per gli italiani e per chi proviene dai Paesi più ricchi, il visto per turismo può essere trasformato in visto per lavoro anche in loco. Non vogliono in nessun modo creare fastidi agli stranieri, che non sono mai soggetti a controlli e possono andare indisturbati in moto senza casco o senza targa, solo per fare un esempio. La condizione è una sola, basta non fare politica ed evitare di criticare il regime in pubblico”.
C’è molto lavoro, anche per gli stranieri e il dottor Chirizzi non ha avuto difficoltà, grazie all’aiuto di altri italiani ben radicati a Pechino e grazie anche all’importante esperienza lavorativa di quattro mesi presso l’Ambasciata italiana. “Io mi occupo di consulting – spiega – consulenza totale che accompagna l’imprenditore italiano nella fase del contratto, ma anche nella ricerca del prodotto, della stipula del contratto e della spedizione; fornisco, in pratica, garanzie nei processi di import-export e mi occupo inoltre di attivare dei contatti per progetti di altro tipo, come manifestazioni di tipo artistico e musicale”.
Quella che Oscar Chirizzi descrive è una metropoli moderna, Beijing (Pechino) nella quale si scontrano tradizione e grattacieli e dove i giovani cercano di recuperare la tradizione attraverso progetti di tipo culturale che la tengano viva. Allo stesso tempo, però, c’è grande interesse verso generi musicali che poco hanno a che vedere con la tradizione cinese, primo fra tutti il Punk Rock, la musica più suonata nei locali live di Pechino.
“Io- racconta Oscar Chirizzi – speravo di diffondere la musica Reggae e ho conosciuto un ragazzo cinese (Lu) che dopo sei anni in Germania ha aperto un locale, il Yu Gong Yishan, che alla lettera significa Lo Stupido Che Sposta La Montagna. Il nome riprende un’antica leggenda taoista, in italiano si direbbe che Volere è Potere. Io faccio il dj in questo Locale due volte al mese, è una vecchia sala da biliardo in un ex deposito di risciò. E’ lì che ho conosciuto il primo cinese rasta, che suona in un complesso che fa Reggae, i Miao. Fanno un Reggae roots e i testi sono in cinese. Sono dei precursori di questo genere in Cina”.
L’aspetto negativo, racconta Oscar, è che i locali sono frequentati per lo più da occidentali che vanno lì per rimorchiare, ma lo Yu Gong Yishan è diverso, è un posto dove ogni giorno si può ascoltare musica dal vivo e che vuole portare un messaggio sociale. Chi ci lavora indossa una maglietta sulla quale è disegnato lo stesso simbolo con il quale sono marchiate le vecchie costruzioni da distruggere a Beijing, quasi a voler dire che se si vuole cancellare la tradizione soppiantandola con i grattacieli si dovranno cancellare anche i giovani, che si sentono custodi di quella tradizione”