martedì, marzo 07, 2006

Lì non c'è legge

Secondo un dossier della Comunità europea che ha inviato 21 tecnici tra novembre e dicembre del 2004 in Libia, circa 6mila persone sarebbero state deportate, senza l’accertamento dell’effettiva nazionalità, in base ai finanziamenti forniti dall’Italia previsti dall’accordo firmato nell’agosto del 2004, di cui non è dato saper molto. Deportazioni che avvengono dopo arresti e detenzioni arbitrarie nei centri operativi in Libia uno dei quali finanziati dal governo italiano.
Nonostante la Libia abbia dimstrato la totale mancanza di rispetto delle convenzioni internazionali in tema di diritti umani ( non è firmataria neanche dell’accordo di Ginevra) continua ad essere considerata dal Governo italiano il partner ideale per il contrasto all’immigrazione clandestina. Il ministro degli esteri Pisanu ha infatti siglato nel gennaio 2006, al termine di un lungo e cordiale incontro, un memorandum di intesa con il ministro libico Naser Al Mabruk.
L’immigrazione clandestina, intanto, continua a passare dalle coste della Libia allestite a veri e propri campi di concentramento; ce lo racconta chi in questi luoghi è stato e non può dimenticare.
E’ la storia di un giovane ghanese, fuggito dalla guerra nel marzo del 2002 alla volta dell’Europa. Racimolati 250 dollari è salito su un camion insieme ad altri 300 disperati: “Ci sono volute due settimane per attraversare il deserto del Niger sino alla Libia. Eravamo stipati come animali senza cibo né acqua, solo i pochi viveri che eravamo riusciti a portare con noi prima del viaggio”.
“Giunto in Libia ognuno ha preso la sua strada e io mi sono ritrovato senza soldi e senza casa, ho trovato lavoro come bracciante e dopo due mesi sono riuscito a racimolare i 1000 dollari necessari per il viaggio”. E’ qui che inizia la seconda parte della sua odissea: finalmente ha i soldi, crede di poter scappare andare al di là del mare, ma non è così, “Ho dato i soldi a quell’uomo che mi aveva assicurato il viaggio ma lui invece mi ha portato nel campo. Era una baraccopoli vicino al mare”. Si tratta di veri e propri campi di concentramento in cui i clandestini vengono rinchiusi per mesi. “Mi ha detto che dovevo aspettare eravamo in pochi, la barca doveva essere piena per partire. Ho aspettato due mesi chiuso lì dentro, in condizioni igieniche disumane, l’acqua era sporca non ci davano da mangiare c’erano donne e bambini un’incubo”. Dopo due mesi finalmente si arriva al numero necessario per patire sono circa 230 persone. “La barca era vecchia e piccola perdeva acqua da tutte le parti abbiamo passato i tre giorni di viaggio a svuotarla con i secchi”. Finalmente si intravede la costa è la Sicilia. Il suo incubo ancora oggi non è finito, sono passati tre anni ma è ancora un clandestino un fantasma per la legge italiana. “ Sono stato più di quattro mesi nei cpt italiani ma non dimenticherò mai quel campo in Libia, lì non c’è legge non c’è bisogna avere paura di quel paese”.

Paola Alem (xx_paola@yahoo.it)

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